Fantasmi

E' comune che si formino combriccole di adolescenti e che poi si frammentino, finiscano, con il tempo. E' inoltre comune che qualche membro di tali combriccole ne esca mentre durano; o vi entri. Ciò non toglie che i gruppi o combriccole abbiano caratteristiche varie durante la loro vita e che siano tali caratteristiche a causare l'uscita di qualcuno. Del resto qualche membro di un gruppo può importarvi una propria caratteristica non confacente alle eventuali caratteristiche degli altri e a quelle del gruppo come insieme. Il gruppo non è una semplice somma di individui, infatti, ma un'entità nuova. 

Nel 1961 a ritorno da vacanze estive durante le quali mi ero preso una "cotta" Ferruccio mi disse che sembravo "un fantasma". Recentemente Matteo mi ha invece riferito di un mio apprezzamento sul primo centrosinistra: 'socialisti traditori'. 1963. Passavamo davanti alla bacheca di un edicolante che offriva titoli sulla novità epocale. Solo da poco so che il padre di Matteo è mancato nel 1964 e penso che un evento simile dovrebbe essermi rimasto in mente. Già nel 1964 quindi potremmo esserci frammentati come gruppo, io restando però in contatto per anni e anni ancora con Lucio. Eravamo Matteo, Lucio, Fausto, Ferruccio, ed io. Lapo potrebbe essere stato il primo a staccarsi. In almeno una delle nostre sbornie messe in atto in un bosco sopra Fiesole però c'era. Davanti alla villa dei fantasmi Lapo, credo, non c'era. Tra le cause della ipotetica frammentazione della nostra combriccola certo ci fu il nostro aver preso strade scolastiche diverse. Il diverbio davanti alla villa dei fantasmi (entriamo, non entriamo e così via) secondo me non fu tanto una causa della frammentazione del gruppo, quanto un suo segno. In pochi anni sarei stato coinvolto in due nuove fasi di amicizie scolastiche, prima al “Galileo”, poi al “Michelangiolo”. 

Lapo ed io eravamo compagni di classe, alle medie. Il legame originario tra noi sei consiste però nel nostro far parte della stessa scuola. Non ricordo se gli altri, né chi di loro, fossero compagni di classe. Lapo, che abitava dalle parti di San Marco Vecchio, tra il Mugnone e la via Faentina, mi pare che fosse figlio unico. I suoi genitori parlavano tra loro in francese, pare, quando non volevano che Lapo capisse che cosa dicevano. Era alto come me, ovvero non era alto. Grassottello come me. Sensuale. Giocavamo a pallone nel campo da calcio della Congregazione gesuitica in viale Don Minzoni, io e lui, alla luce di un lampione, nel secondo pomeriggio. Fumava. Fumavamo tutti, clandestinamente. Lapo teneva le sigarette lontane dagli occhi dei genitori, nascoste entro la cornice di un finestrino, al livello del marciapiede, ovvero per strada. Durante una delle sbornie prese a bella posta da noi sei nel bosco sopra Fiesole, a un tratto persi l'equilibrio e urtai la fronte su una pietra, dolore attutito dall'ubriachezza. Fausto invece si sentì male e due di noi, Ferruccio e un altro, lo accompagnarono in fretta fino a Fiesole, e di lì in filobus giù in città. Era impallidito e barcollava. Credo che il malore fosse autentico. 

Lapo fu, ripeto, il primo a staccarsi dal gruppo. Non so perché. Lo ho rivisto due volte. La prima vicino al cavalcavia delle Cure, dunque a due passi dalla nostra vecchia scuola. Mi parlò del suo modo di guardare le ragazze, ovvero si mise a istruirmi su come guardarle - assumendo lì per lì una ridicola espressione diciamo lubrica. La seconda volta lo vidi diversi anni dopo nell'area della piscina di Bellariva. Era cresciuto molto e aveva i capelli tinti color “Tiziano”. Un marcantonio. Non richiamai la sua attenzione. Fausto era un bel ragazzetto dai capelli castano chiari. Stava in via Faentina, vicino al Ponte Rosso. Per cui le nostre frequentazioni di un misero bar dotato però di biliardi erano per lui comodissime, infatti il locale (“Mario”) si trovava forse a duecento metri da casa sua, in direzione del Giardino dell'Orticultura, oltre il Ponte Rosso. Giocavamo a boccette senza tentare le stecche. Certi frequentatori più grandi di noi che in un caso ci disturbavano non ricordo come, forse per i turni al biliardo, furono investiti da Lucio come segue: 'oh tinti di merda!' - senza suscitare reazione manesca. Ebbe, tale offensiva verbale, un certo successo tra noi, risultandone Lucio esaltato. Non ricordo però se io ero presente all'atto di spavalderia. Tornando a Fausto, noi già alle superiori, lui si mise insieme a una certa Fiammetta, molto carina. Gliela invidiavo. Durante una festicciola di quelle che frequentavamo il sabato o la domenica, nel pomeriggio, io ebbi un turno di ballo (lento) con la Fiammetta. Fausto, il quale commentando una foto che lo ritraeva disse una volta di sé che avrebbe potuto essere preso per un ventenne, mi disse che la Fiammetta parlandogli di me aveva detto che ero “piccino”. Se ne rileva che io e Fausto eravamo “competitivi” in ambito Fiammetta. Com'è naturale tale confidenza non richiesta di Fausto mi dispiacque. 

Quasi ogni pomeriggio, direi dopo le ore 17, uscivamo tutti insieme. Si vagava a piedi, si andava al Luna Park, detto da Ferruccio “Moon park” e situato alla Fortezza. La domenica andavamo al cinema e ci facevamo fuori un pacchetto di Astor. Fumavamo di nascosto anche in zona San Marco vecchio, lungo la sede della ex ferrovia Faentina. Osservavo sul terreno preservativi usati. Abitavo fuori mano rispetto agli altri, ma vicino a Lapo. Lucio, Ferruccio, Matteo, stavano vicinissimi di casa tra loro - pochi minuti a piedi. Tra piazza Donatello e piazza della Libertà. Nessuno di noi aveva un motorino. Poiché io ne ebbi invece uno nell'autunno del 1963 (28 Settembre, data storica!) e non ricordo alcun coinvolgimento di questi amici con tale mia pratica, posso stabilire quell'anno come già appartenente a un periodo mio esterno (o quasi) al gruppo. Nel 1963 avevo sostenuto l'esame di quinta ginnasio e passavo alla prima liceo “classico”, corrispondente alla terza “scientifico”. Anno scolastico 63/64. Durante l'anno scolastico 60/61, noi in terza media, eravamo compattamente una combriccola. Quando nata, non ricordo, forse durante l'anno scolastico 59/60, ovvero in seconda media. Né come nata! 

Ferruccio era molto più alto di noi tutti: io, Lapo e Matteo eravamo piuttosto bassi. Lucio e Fausto erano leggermente meno bassi di noi tre. Ferruccio azzarderei che fosse sul metro e ottanta. Castano, capelli mossi, bel ragazzo, aveva un fratello, mi pare. Suo padre dirigeva una piccola fabbrica in via Gioberti. Mai stato in casa sua, mentre sono stato a casa di Lucio, di Matteo, forse di Fausto. Non a casa di Lapo. Matteo era sul biondo, bel ragazzo anche lui, vestito tendenzialmente in giacca, cravatta eccetera. Del resto ai tempi non appena possibile noi tendevamo a vestirci imitando gli adulti! Abitava vicino a piazza della Libertà insieme al padre, anziano rispetto al mio (ora so da Matteo che aveva ben venti anni di più - forse era pensionato), alla madre e a una sorella parecchio più grande di noi che credo studiasse all'università - materie letterarie. Carina. Matteo era umbro; noi fiorentini. Ho due ricordi tra gli altri risalenti alle medie: al termine di uno degli anni scolastici che qui m'interessano, azzarderei il 59/60, quindi nel 1960, fummo invitati a una festicciola a casa di un certo Carlo, compagno di classe. Occhialuto, presto dimenticato, abitava a due passi da piazza delle Cure, davanti al cinema “Ideal”, a pianterreno, e disponeva di un giardinetto. Mi recai a tale festicciola in jeans, e Matteo espresse sorpresa per tale mio abbigliamento. Era Giugno! 'Noo, in jolly!' - esclamò quando mi vide. “Jolly” era una marca allora in voga. Naturalmente lui era inappuntabile. A proposito: tardi ho conquistato i calzoni lunghi, infatti almeno fino alla seconda media i miei mi facevano indossare i calzoni corti, per di più “all'inglese”, cioè coprenti le cosce fino al ginocchio. Non so se quello stesso anno fummo invitati da una compagna, Cesira, a Reggello, ovvero a un trentacinque chilometri da Firenze, a est. In pullman, ci arrivammo, e nel pomeriggio ci bagnammo in una sorta di piscina naturale formata dal torrente Resco. Qui mi aiuto con la mia conoscenza attuale di tali località. La Cesira era una piacente ragazza persa presto di vista. 

Lucio era bruno, molto magro, nervoso e afflitto talvolta da notevoli emicranie. Figlio unico. A suo padre, per motivi legati alla sua professione diciamo influente, venivano regalate molte bottiglie di superalcolici - anche tipici dell'Est europeo. Anni fa mi rivelò che in cantina i suoi avevano una tale riserva di bottiglie che lui poteva prelevarle, ai fini di quelle sbornie realizzate sopra Fiesole, senza essere scoperto.

Non credo che abbiamo consolidato la nostra amicizia di gruppo prima dell'anno scolastico "59/"60, per cui penso che essa sia iniziata attorno al 1960. Chiarisco che qui sto cercando di stabilire i termini temporali di ciò che definisco frammentazione del gruppo, ma forse farei meglio a indagare sul mio allontanamento dal medesimo. E' certo la via ricostruttiva più seria. In realtà ignoro se gli altri abbiano continuato a vedersi, a passare insieme del tempo e così via. I motivi del mio allontanamento progressivo dal gruppo sono facili da individuare nel nostro cambio di indirizzo scolastico: prima tutti alle medie e nella stessa scuola, poi studenti in tre indirizzi di studio e in quattro istituti diversi; ma i motivi del mio allontanamento sono insieme difficili da individuare e forse spinosi. Nei miei tre anni al “Galileo” (1961-1964) trovai nuovi amici: Gianni, Tito, Vasco. Specialmente con Tito strinsi un forte legame anche perché entrambi eravamo appassionati di motociclismo. E altri amici, e amiche, avrei trovato al “Miche” (1964-1967). Il periodo d'oro del gruppo che qui è oggetto del mio studio inizia dunque per me probabilmente nel “59/”60 e forse termina nel 1963. Se avessi saputo della morte del padre di Matteo - 1964, evento di forza assoluta, la morte di uno dei nostri padri - suppongo che me lo sarei ricordato, invece l'ho saputo solo in questi giorni da Matteo, cui mi sono riavvicinato tramite W.A. (fornitomi il suo numero telefonico da Lucio) e tramite mail. Arrivato a questo punto devo riconoscere che lo scopo del mio studio retrospettivo (e introspettivo!) va davvero riformulato. Non so nulla infatti dei miei vecchi amici limitatamente al gruppo da circa il 1963 in poi. Nel mio allontanamento potrebbero aver giocato le mie nuove amicizie (Tito e gli altri). La mia amicizia con i cinque potrebbe essere stata sorretta dal nostro essere (stati) compagni di scuola. Del resto anche con Tito l'amicizia si resse sul nostro essere compagni di classe. Finisce per un motivo o per l'altro tale cornice e l'amicizia non è, spesso, abbastanza forte da stare in piedi da sé? E' quello che in genere penso. Le amicizie tra compagni di scuola e quelle tra colleghi hanno spesso il fiato corto. Ovviamente non terminano subito dopo il cambio di scuola o di (luogo di) lavoro, ma finiscono - se non hanno abbastanza forza intrinseca

Torniamo a noi. Di Fausto mi dispiacque – eccome! - la soffiata non richiesta sul mio essere “piccino” agli occhi della Fiammetta. Del resto in parte mi era dispiaciuto anni prima che Ferruccio mi avesse bollato come “fantasma” - vagante nelle brume dell'innamoramento, diciamo (e trascuriamo la mia ipotetica valorizzazione interiore di tale etichetta facente di me una sorta di Werther, suggerirei oggi). Non mi sento di affermare che Ferruccio fosse il nostro “capo”, certo dalla sua aveva l'altezza. Aveva il fisico del ruolo. Definì “infantile” la nostra pretesa di penetrare nella cosiddetta villa dei fantasmi, una domenica pomeriggio del “61 o del “62, tardi e quindi al buio, e ottenne di fatto che noialtri sviassimo la nostra voglia di provare l'impresa, non facilissima soprattutto perché improvvisata, e c'infilassimo in un'accesa discussione in cui Ferruccio era certo in minoranza. Lucio, Fausto e io eravamo neri per essere stati bollati come infantili. Matteo non saprei. La discussione – non banale direi - presto ci allontanò dalla cosiddetta villa dei fantasmi - sita nel viale Mazzini, oggi sede chic di una grossa agenzia bancaria – in direzione del Ponte del Pino, dove con ogni probabilità io voltai a destra verso casa mia, da solo - suggestivamente. Forse il diverbio “della villa dei fantasmi” non fu la causa della nostra frammentazione come gruppo, ripeto, ma in realtà, ripeto, non ho alcun elemento per sostenere che il gruppo si frammentò, mentre so per certo che io me ne allontanai. La cosiddetta villa dei fantasmi era un edificio abbandonato; il muro perimetrale, offerente uno o più varchi di non facile accesso in quanto protetti da filo spinato, era servito agli immancabili cultori della vernice e del pennello, non a noi, per vergare infamie, sciocchezze, spiritosaggini, spacconate di vario genere. E' probabile che qualcuno ci trovasse riparo, in quel posto sinistro, o che qualche coppia miseranda ci si appartasse. E i fantasmi? Significa che il luogo era per noi, per me oggi, pieno di misteri. Entrarci - senza avere neppure una torcia elettrica - non sarebbe stato tuttavia “infantile”; avremmo corso magari qualche pericolo. Direi che la voglia di entrarci - che venne non ricordo a chi per primo – fu estemporanea, superficiale, infatti bastò che Ferruccio la avesse etichettata come “infantile” perché noi la sublimassimo in una discussione contro di lui e quel suo epiteto. Non era “infantile” voler entrare in quel posto, penso oggi, semmai adolescenziale. Era voglia di esplorare un pezzo di buia alterità, di avventura. Del resto le sbornie ai Bosconi dimostrano (furti casalinghi di superalcolici da parte di Lucio inclusi) una nostra voglia adolescenziale di eccesso. Ferruccio, che probabilmente si sentiva il capo, se non lo era, ebbe paura di entrare nella villa abbandonata, penso, ma ovviamente non poteva dirlo, e assunse un ruolo “adulto” - nei fatti ridicolo. 'Oggi ho perso un amico', disse Fausto, oppure Lucio? Matteo, per fortuna dotato di memoria, tempo fa mi ha scritto a proposito di questa storia che Ferruccio forse nella circostanza fu il più “saggio”; gli ho risposto: 'il più saggio non so, certo era il più alto.' Abbiamo visto che fu lui, insieme a un altro che non ricordo, ad accompagnare il barcollante ubriaco Fausto dai Bosconi fino a Fiesole, camminata non trascurabile, e poi da Fiesole fino alla fermata più vicina a via Faentina. Un viaggio! Era una brava persona, Ferruccio. Un'altra volta infatti, anni prima, dalle Cascine, dove eravamo andati a fare un giro in bicicletta durante il quale io ero caduto e avevo subito un taglio profondo sotto il ginocchio destro, ebbene: Ferruccio mi aiutò, mi prese sulla canna della sua bici e mi trasportò fino a casa mia, sei o sette chilometri lontana dalle Cascine. Da lì mia madre mi accompagnò all'ospedale Meyer (ai tempi prossimo al Ponte del Pino) dove mi suturarono la ferita. Intervento chirurgico poi definito “non edificante” da Ferruccio, lì insieme a mia madre. Non edificante da vedere. Eppure lui mi tenne la mano in corso d'opera, credo. Generoso, Ferruccio, responsabile, ma ti presentava il conto nella forma di epiteti come “fantasma”, “infantile”; o di una litote come “non edificante”. Davvero non ricordo se un problema di soldi tra suo padre, il piccolo industriale, e il mio, si produsse nel periodo durante il quale facevo ancora parte del gruppo, o più tardi. Il padre di Ferruccio, che, non antipatico, devo aver visto in compagnia del mio una volta all'interno della menzionata piccola fabbrica in via Gioberti, era cliente di mio padre, avvocato. Quest'ultimo potrebbe aver fatto da garante al padre di Ferruccio, bisognoso, come è naturale per un piccolo industriale, di un prestito bancario difficile da ottenere. Non riuscendo il debitore a ripagarlo, il garante si sarebbe trovato “esposto” non poco. Ricordo che a casa mio padre, di solito avaro in fatto di informazioni circa le sue entrate e uscite, lasciò che anche noi sapessimo della rogna. Non so finita come. Anni dopo Lucio mi avrebbe soffiato, non richiesto, che le ovvie insistenze di mio padre per recuperare il denaro da lui sborsato al posto dell'altro, avevano ricevuto - da chi non saprei - la definizione di “ricatti”. Può darsi che mi sfugga qualcosa proprio perché mio padre era abbottonato in merito alle sue entrate e uscite. Comunque sia il fantasma del “ricattatore” non giovò né giova oggi al mio nebbioso vissuto dell'intera cosa, anzi, diciamolo: di Ferruccio. Del resto Lucio, così come ai tempi Fausto in merito all'impressione della Fiammetta che io fossi “piccino”, era stato un ambasciatore non richiesto e abbastanza esecrabile, credibilità a parte. 

Mentre ragiono sulla suggestione di essere io entrato con questo studio in una mia personale “villa dei fantasmi”, credo che sia necessario, non in genere, ma per esempio sulla base del ricordo di Matteo circa la mia esecrazione dei socialisti imbarcatisi in un governo con la DC, accennare alle posizioni politiche dei ragazzini che eravamo. Nell'estate del 1960 in varie città d'Italia ebbero luogo manifestazioni forti - e duramente represse (“morti di Reggio Emilia”) - di nutriti gruppi antifascisti guidati dal PCI in opposizione a un congresso del MSI organizzato – e poi disdetto - a Genova in quel Luglio. Tale insieme di eventi - su cui ora non voglio soffermarmi - potrebbero aver influito sul posizionamento politico mio, di Lucio, di Ferruccio, di Matteo e di Fausto – di Lapo; insomma, del nostro gruppo o combriccola che dir si voglia. Mi pare che Lucio, figlio comunque di un tesserato PCI, ed io, approdato per vari motivi di cui ora non merita scrivere, ma certo in opposizione alle tendenze politiche della mia famiglia, a una certa qual simpatia per i socialisti, fossimo per farla breve “la sinistra” del gruppo. Ferruccio e Matteo erano “meno di sinistra”. Matteo oggi afferma di essere sempre stato “di destra”. Fausto e Lapo francamente non saprei dire quale posizione avessero. Ricordo invece un ironico commento di Ferruccio circa l'autodefinizione di “democratici” colta da noi su un foglio de “L'Unità” - organo del PCI - nella bacheca di un edicolante in piazza della Libertà, sotto i portici. Ferruccio riteneva, penso, che l'uso del termine “democratico” non fosse applicabile ai comunisti, né ai Paesi del blocco orientale. Politicamente dunque il gruppo non era omogeneo. Ai tempi la politica aveva un'importanza, anche per i giovanissimi, oggi impensabile, credo, per cui un'amicizia poteva trovare nella politica stessa un ostacolo o una facilitazione, anche secondo modalità settarie. Da qui a interpretare il diverbio, generato dalla voglia di alcuni di noi di entrare nella cosiddetta villa dei fantasmi, come “politico”, tuttavia ce ne corre. Voler entrarci non era “di sinistra” - non voler entrarci era “da moderati”? Era da moderati, sì, certo, ma non tanto in senso politico, quanto in senso … “etico”? Ammesso che io sia con questo studio entrato nella mia personale “villa dei fantasmi”, davvero non so perché mi sia allontanato dagli altri, allontanamento il cui terminus ante è il 1964, anno in cui mancò il padre di Matteo senza che io ne sapessi nulla. Obbietto a me stesso tuttavia che potrei anche averlo saputo e poi in tutti questi decenni dimenticato.

Commenti