Un genere crepuscolare di psicologia

Per motivi di famiglia il professor Cosimi portò con sé all'università, dove quella mattina doveva iniziare una sessione d'esami, la figlia Marta, una bambina di circa quattro anni. Entrò nell'atrio dell'edificio con la piccola sulla schiena a mo' di zainetto. Com'è naturale il professore attirò l'attenzione dei bidelli chiusi nella loro portineria a vetri e dei molti studenti che sostavano nell'atrio. Il professore rispose con qualche sorriso alle blande manifestazioni di interesse e di simpatia che gli indirizzavano i presenti e si diresse verso la porta dell'ascensore. Salì al secondo piano insieme a qualche studentessa, uscì dall'ascensore e presto fu davanti alla porta della sua stanza, dove, contrariamente a quanto richiesto dalla presidenza e dalla direzione dipartimentale, avrebbe esaminato i candidati. S'intenda qui che la presidenza della scuola di scienze sociali e la direzione del relativo dipartimento esigevano che gli esami non si svolgessero nelle stanze, o meglio negli “studi”, dei docenti, ma invece nelle aule. Che d'altra parte erano scomode perché non concepite per colloqui ravvicinati (banchi fissi), ma giustappunto per le cosiddette lezioni frontali. Del resto il professor Cosimi non era l'unico trasgressore della detta pretesa di separazione del piano dipartimentale dal piano delle aule. Nell'attico qualche professoressa prendeva, in estate, il sole.

All'affollamento del primo giorno della sessione estiva di esami, molto partecipata, nel caso del professor Cosimi si sommò anche la presenza della piccola Marta, che ben presto ritenne di averne abbastanza di quella situazione poco confacente alla sua età e alle sue esigenze. Mentre l'assistente dottor Mesti faceva l'appello nel corridoio colmo di studenti, ciò che costituiva il motivo essenziale della contrarietà della presidenza della scuola e della direzione dipartimentale allo svolgimento degli esami nelle stanze dei docenti, il professor Cosimi dové badare alla bambina all'interno dello studio, il cui uscio era rimasto aperto. Aveva sparso pennarelli e fogli in quantità allo scopo che la bambina si distraesse disegnando. “Che cosa disegno?” - aveva chiesto prestissimo Marta. “Mah”, aveva risposto il padre, memore della propria infanzia, “disegna dei cavalli!”. “Ma io non so fare i cavalli!” - aveva protestato lei. “Allora disegna qualche altro animale, un cane, un gatto, un elefante!” - aveva consigliato il padre intanto che l'assistente, preso dall'appello, si produceva in fiacche spiritosaggini e complicate incomprensioni circa la corretta dizione dei cognomi. Molti degli iscritti all'esame non si erano presentati, o magari erano semplicemente in ritardo. Parecchi iscritti alla scuola di scienze sociali provenivano da località anche distanti dal capoluogo. “Ma non mi va di disegnare!” - aveva concluso la bambina. “Allora ascolta una favola registrata!” - aveva proposto il padre, che si era attrezzato in fretta predisponendo solo due generi di passatempo. Il tavolo era grande, ma non grandissimo, e sarebbe bastato a mala pena a ospitare il professore, l'assistente e l'esaminando di turno. A Marta fu proposto un tavolino basso da cui il professore aveva tolto la cosiddetta stampante. O meglio, l'intenzione era quella, tuttavia Marta non manifestava affatto la volontà di farsi sistemare a un tavolino, pensò il padre. Tra le studentesse e gli studenti numerosi erano gli stranieri, ciò che aumentava gli equivoci dell'appello e le tetre spiritosaggini dell'assistente. Esaurito l'elenco degli iscritti all'esame – intanto si erano fatte le ore 9,30 – il professore iniziò gli esami. L'assistente dalla soglia dello studio, aperto, chiamava la persona interessata e l'esame poteva aver inizio. Qualche studentessa, qualche studente, aveva chiesto e ottenuto di assistere agli esami, per cui lo studio si riempì. Marta comunque non disegnava né ascoltava favole registrate, invece guardava i presenti e li intratteneva ottenendone qualche risposta stiracchiata. Si capisce che il giorno dell'esame non è quello più adatto per fare la conoscenza della figlia di quattro anni del professore.

Verso le 10,30 il direttore del dipartimento apparve sulla soglia della stanza del professor Cosimi e si produsse in una muta messa in scena della sua disapprovazione: in effetti il corridoio del dipartimento si era trasformato nel ponte di una nave di sfollati – studentesse e studenti, esaurite le non numerose sedie, si erano seduti sul pavimento. Il professor Cosimi rispose alla pantomima del collega direttore alzando le spalle, allargando le braccia e, colpo magistrale, indicando prima la piccola Marta, che si era addormentata in braccio a una giunonica studentessa, e poi il proprio sterno. Il direttore annuì, emise una smorfia di comprensione, fece ciao con la destra e si ritirò non senza guardare risentito la fila delle studentesse accosciate, in qualche caso anche gradevoli da vedere, e degli accoccolati studenti.

Tutto andava a meraviglia, Marta compresa – almeno fino a quando non fosse venuto il turno della studentessa giunonica; gli esami filavano con accettabile lentezza e con un congruo numero di bocciature mascherate da “consigli” a ripresentarsi alla prossima sessione, magari autunnale. Il professor Cosimi era severo e “cattivello”, si mormorava da anni. Invano qualche povera anima aveva sperato che la presenza della bambina potesse ammorbidirlo. Non che il professor Cosimi prendesse troppo sul serio la propria materia - psicologia sociale - o se stesso, come facevano molti suoi colleghi, bensì abbastanza. E quell'abbastanza era molto più di ciò che sarebbe piaciuto a studentesse e studenti.

Marta attorno alle ore 11 si riscosse dalla sua comoda posizione in grembo alla studentessa giunonica giusto nel momento in cui era arrivato il turno della ragazza. Venne messa giù e, dopo essersi guardata attorno, uscì semplicemente nel corridoio, incuriosita da tutti quei tipi seduti sul pavimento, come riferì l'assistente, che cauto l'aveva seguita sulla porta dello studio. La bambina interloquiva con gli studenti trovando perfino qualcuno che le desse spago. La studentessa giunonica fu ringraziata dal professor Cosimi e, dopo poche domande d'esame, consigliata a ripresentarsi possibilmente nella sessione successiva. Era una giovane donna di casa; sorrise, raccolse libri, fotocopie e appunti, infilò il tutto in una busta, salutò il professore e se ne andò.

La preside della scuola, informata dal direttore del dipartimento della situazione creatasi attorno allo studio del professor Cosimi, dove la figlia del medesimo dormiva in braccio a una studentessa, aveva “pregato” una bidella di andare a fare un sopralluogo e possibilmente di occuparsi della bambina. La bidella dopo circa un'ora salì al piano del dipartimento e si mise alla ricerca della figlia del professore, trovandola infine nello studio della professoressa di statistica, la quale era abituata a tenere la porta sempre aperta e – meglio – aveva in un angolo del suo tavolo un vassoietto di caramelle. Insieme alla assistente, la professoressa di statistica stava intervistando Marta circa il perché e il per come una bambina così piccola si trovasse in una scuola universitaria. Le due donne fingevano di non sapere che la piccola era figlia del collega Cosimi, infatti la voce si era rapidamente sparsa da pianterreno su su fino all'attico dell'edificio - tanto la noia accademica poteva essere risvegliata da una simile novità.

La bidella salutò la professoressa, l'assistente, la bambina e riferì dell'incarico avuto dalla preside. Dal momento però che Marta stava benone nel regno della statistica e delle caramelle né mancava di sentirsi importante; dato poi che lo studio del professor Cosimi distava dallo studio della professoressa di statistica una quindicina di metri, la bidella fu consigliata di ritenersi libera di andare a riferire alla preside che tutto andava per il meglio.

Gli esami di psicologia sociale, sfiorando la “strage”, procedettero fino alle ore 13, quando il professor Cosimi uscì nel corridoio e rimandò i profughi rimasti in attesa alla mattina seguente. Non era superstizioso, non temeva gli accidenti né la fama di “cattivello”. Mise in ordine lo studio, raccolse le carabattole proprie insieme a quelle della bambina, congedò l'assistente, chiuse a chiave la porta e passò senz'altro a prendere la figlia sappiamo dove. L'assistente già l'aveva avvisato da almeno un'ora del colpo di fulmine esploso tra Marta e le due studiose di statistica.

Andarono anzi tutti e quattro insieme a pranzo in un vicino ristorante dove la bambina, lasciando suo padre stupefatto, mangiò senza far storie. Verso le ore 15 i commensali si salutarono non senza promettersi prossimi incontri e interviste reciproche. Infine il padre scortò la figlia a casa, dove ogni cosa aveva ripreso il suo verso giusto.


La maggior parte degli studenti e delle studentesse che si presentavano agli esami in genere e di coloro che il professor Cosimi aveva interrogato in mattinata erano non frequentanti e all'incirca ignoti. Tra i noti in quanto frequentanti le lezioni di psicologia sociale, o almeno presenti a qualche occasione di cosiddetto ricevimento, quella mattina il professor Cosimi aveva interrogato un'allieva speciale. Ne era stato conquistato mesi prima e aveva stretto con lei, Vanna, una relazione “non professionale”. Aveva consigliato anche a Vanna di ripresentarsi nella prossima sessione. Il programma di studi non era massiccio, ma constava di libri alquanto difficili da studiare, specie da parte dei non frequentanti. Vanna aveva frequentato e aveva studiato, ma, forse ritenendosi privilegiata e quindi favorita, aveva risposto alle domande del professor Cosimi in modo abbastanza sciatto e affrettato. Se n'era andata indispettita forse anche a causa della presenza dormiente della piccola Marta. Non che ne ignorasse l'esistenza!


All'alba del giorno dopo il professor Cosimi, sveglio accanto alla moglie restituita al “tetto coniugale” dopo la bufera che era stata la causa del primissimo contatto di Marta con l'università, rifletteva giustappunto sul significato, per dir così, del suo portar la figlia con sé “in facoltà”. Come molti altri il professor Cosimi stentava ad accettare la nuova forma - “scuola” - per ciò che nel tempo aveva avuto il nome, dopotutto succulento, di “facoltà”. Ricco di possibili interpretazioni. “Scuola”, imitando l'inglese, sapeva di poco e ricordava anche troppo la scuola. Comunque fosse, lui aveva portato Marta con sé all'università perché la madre era uscita malamente di casa, proprio quella mattina degli esami, sospettando il marito di “un nuovo tradimento”. Sospetto privo di prove concrete, aveva pensato lui trascurando il fatto che i sospetti si nutrono di sfumature. Che una donna come sua moglie non aveva bisogno di “prove”: non era mica un poliziotto, un investigatore. E dopotutto aveva ragione lei: il marito, il professore, stava avendo una “relazione non professionale” con una ragazza poco più che ventenne. Con una “bambina”!

Nella penombra della camera il professore fu catturato suo malgrado dal pensiero che il suo ingresso “in facoltà” con la figlia sulla schiena, Marta, avesse illustrato in modo segreto il suo coinvolgimento tutt'altro che paterno con Vanna. Marta e Vanna si confondevano nella mente del professore: la bambina sulla schiena diveniva adesso un “emblema” della sua condizione di professore “irregolare” in quanto amante di una studentessa. Portatore di una difformità!

Non che lui credesse di essere il primo o l'unico fruitore di tale condizione, certo. Da che mondo e mondo, pensava nella penombra della camera, cose del genere erano sempre avvenute e chissà quante volte! Da che mondo è mondo altri docenti avevano patito le stesse pene che ora toccavano a lui! Patito e goduto, in un nodo maligno. “Bocciare” Vanna non era servito a ripristinare la distanza “conforme” tra un professore e i suoi studenti. Oramai il danno era fatto. Semmai la bocciatura, insieme alla presenza di Marta nella stanza dell'esame, poteva aver tolto coraggio a Vanna, che di coraggio ne aveva dimostrato, nelle ultime settimane, anche troppo, allarmando il professor Cosimi e indispettendo la moglie di quest'ultimo.

L'emblema “professore che reca sulla schiena una bambina” era servito forse a catturargli qualche simpatia nel pubblico, là nell'atrio, ma lui sapeva che esso aveva un altro significato. Marta rappresentava un qualcosa di segreto: Vanna.


La relazione con Vanna, nella penombra della camera più che alla luce delle riflessioni, per altro alquanto irrazionali, del professor Cosimi, ora nell'ambito del significato segreto dell'emblema – e continuiamo a chiamarlo così – diveniva un qualcosa di insano a carico dell'uomo, del marito, del padre, del docente! Come se, al posto di Marta, fosse stata sulla sua schiena Vanna.


Come se, si riscosse il professor Cosimi nella penombra della camera, non significa che qualcosa è, ma che qualcosa sembra qualcos'altro. Il professore era dunque scivolato in un genere crepuscolare di psicologia. Si alzò dal letto e andò a farsi un caffè. Un'altra quantità di esami quella mattina lo aspettavano.

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