Galera bar

 Nel passare ogni pomeriggio davanti a un piccolo bar sull'angolo di una normale via, né brutta né bella, S si accorse che c'erano sempre gli stessi avventori intenti a bere, a fumare, a chiacchierare, sia all'interno che all'esterno del locale. Uomini per lo più, qualche rara donna, tutta gente, considerò S, dall'aspetto poco raccomandabile e che probabilmente era stata in carcere - questa la fantasia prodotta dalla mente piccolo-borghese di S. Taluni palesemente ubriaconi. Eppur tuttavia tranquilli, non sguaiati. S iniziò a pensare che la presenza stabile di quei tipi rendeva in pratica impossibile che altri clienti entrassero nel locale, diventato come un club privato. Successivamente però si chiese che cosa doveva provare il gestore del bar, costretto per lavoro a godersi ogni giorno le stesse persone. E' il suo pane, si rispose S. Il suo prosciutto. Non importa, pensò S, il gestore è prigioniero dei suoi clienti, gli avventori di cui sopra, per usare questo termine antiquato. In pochi anni in quel locale si era formata una sorta di combriccola: di giovani non ce n'erano, a parte una donna, difficile tuttavia da situare in un'età a causa del suo aspetto forestiero. Costei era forse il pezzo più interessante della combriccola. S l'aveva sentita parlare al cellulare con la pronuncia della città - era una ragazza forestiera solo di aspetto, aveva la pelle molto scura. Bassina, indossava scarpe bianche tipo sneacker con la suola di almeno quattro dita. Disinvolta, capelli nerissimi, lunghi, tirati, lucidi. Una piccola brasiliana? 

Comunque fosse, che ingombro, che galera, avere probabilmente per ore, ogni giorno, le stesse persone. S non sapeva nulla dei bar, è evidente.

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