Visita al cimitero

 Erano tempi di febbre. Tra i molti che contraevano la malattia, e la superavano come solitamente si supera un malanno di stagione, alcuni pochi si trovavano i polmoni affetti al punto da soffocare, se presto non venivano sottoposti a pratiche di ventilazione presso i reparti specializzati degli ospedali. Tra questi sfortunati alcuni morivano lontani dai loro parenti, isolati - orribilmente. La febbre, nelle sue forme qui sommariamente descritte, era comunque molto contagiosa, e ciò com'è naturale aveva indotto quasi tutti i cittadini del Regno a sospettare nei loro simili dei possibili contagiatori - e quindi a tenersene lontani. In più le autorità, su ordine del Sovrano, avevano imposto alla popolazione di vaccinarsi contro la febbre. O meglio, avevano introdotto una tessera - da esibire da parte dei cittadini nelle normali occasioni di vita associata – dimostrativa dell'avvenuto vaccino; per cui la minoranza che non intendeva, per una qualche ragione, vaccinarsi, non disponeva della suddetta tessera e doveva perciò rinunciare a molte occasioni fin lì considerate normali. Pochi pessimisti temevano addirittura che la vita dei non tesserati si sarebbe presto ridotta alla mera sopravvivenza.

Il signor S., non tesserato perché non vaccinato e non vaccinato perché ostile all'accennato ricatto, un giorno patì in casa di amici suoi l'umiliazione di esserne allontanato, quasi che la casa degli amici fosse un museo, perfino un “museo all'aperto”, una mostra di pittura, una biblioteca, un cinema, un teatro, un treno di lunga percorrenza, un aereo, una nave, e così via. Odiosamente, coloro che lui riteneva essere amici lo espulsero da quella casa dove aveva tante volte passato ore piacevoli. “Fatti vaccinare”, gli dissero, “per il tuo e per il nostro bene”, aggiunsero. E gli chiusero la porta in faccia.

Il signor S. si trovò solo nella città, beninteso attraversata da migliaia e migliaia di cittadini, ma invece di far ritorno a casa sua prese la strada per un cimitero dove sapeva trovarsi la tomba di un suo amico di gioventù, allo scopo di intrattenersi con qualcuno che fosse totalmente estraneo alla situazione vigente nel Regno. “Intrattenermi con un morto”, si disse il signor S., “anzi, intrattenermi con una tomba”, precisò non senza autoironia, “che boiata è mai questa?”

Non era mai stato fin lì a “trovare” l'amico di gioventù, per cui stentò parecchio, nonostante certe indicazioni avute all'ingresso, a pervenire alla tomba. Stava per rinunciare, era stanco di transitare tra le file infinite delle tombe – dei morti, i quali erano nei decenni morti come da sempre accade e accadrà - quando finalmente incontrò un operaio del cimitero e gli chiese indicazioni valide per trovare la tomba dell'amico G.M. L'operaio lo accompagnò gentile fino alla tomba desiderata, quindi si ritirò senza accettare la mancia propostagli.

Il signor S. non sapeva che cosa fare, lì in piedi davanti alla tomba dell'amico. Rivolse all'immagine debolissima che di lui conservava nella memoria – essi erano stati amici fraterni sei decenni prima! - qualche parola mentale. Presto nella mente stessa gli risorse il volto preciso dell'amico. Come succede nei sogni. Biondopaco, florido, espressivo, molto affettuoso l'amico gli rivolse parole di ironico conforto, proprio come avrebbe fatto se fosse stato lì - vivo. Come tra loro due era stato abituale. Mai discostarsi da una certa dose d'ironia. L'amico sviò la mente del signor S. dai pensieri bui che la molestavano, solo questo noi sappiamo. Quasi che fin lì avesse dormito uno dei suoi sonni da anziano, il signor S. si riscosse. Molto sorpreso di trovarsi in quel cimitero, e proprio davanti alla tomba dell'amico G.M., morto troppo presto come non di rado accade, salutò l'amico, anzi la tomba dell'amico, e si avviò verso la lontanissima uscita. Nessun altro visitatore era visibile in giro, quasi che tutti si fossero dimenticati dei morti. Che si fossero dimenticati che si muore?

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