Per benino

La pineta che si estende attorno alla casa fornisce occasione alla nostra gatta di catturare animaletti topiformi che mia madre ai tempi chiamava “moscardini”, né so quanta ragione zoologica avesse. La gatta porta in casa tali “moscardini” reggendoli con una certa delicatezza tra i denti, dopodiché procede a torturarli. O almeno vorrebbe farlo, perché al contrario io le ho insegnato a trattarli per benino, a non straziarli con quei suoi dentini, possibilmente a lasciarli tornare nella pineta, dopo averci “giocato”. Oggi, quando la gatta mi è apparsa davanti con in bocca un “moscardino”, l'ho ammonita alzando l'indice della mano destra, e stavo per dirle - “per benino!” - quando lei ha emesso un miagolio che mi è parso significare a sua volta “per benino”, e ha deposto sul pavimento la preda. Che la nostra gatta parlasse non lo sapevo, per cui sono andato subito in una stanza vicina e ai presenti ho dato l'informazione – convinto che la gatta avesse detto “per benino”. Voglio dire che nel tragitto dalla mia all'altrui stanza lo scarto tra il miagolio e la mia interpretazione del medesimo si era ridotto a zero.

Tra i presenti, stupefatti al mio dire non meno di me al “dire” della gatta, ho notato una novità, mio nipote: alto e robusto, stava fumando un sigarettone le cui esalazioni mi hanno ricordato il tempo, alcuni decenni or sono, in cui molti dei miei amici fumavano hashish o marijuana. E anch'io, talvolta. Mio nipote ha espresso senza alcuna remora il suo scetticismo circa il fatto che la nostra gatta, “come un pappagallo”, abbia imparato a ripetere quello che tante volte le ho raccomandato: di trattare per benino le sue prede. Gli ho ribattuto che forse lui era “fumato” e non aveva i titoli per mettere in dubbio il mio referto. Gli altri non si erano espressi, per cui sono tornato nella mia stanza, dove non c'era più né la gatta né il “moscardino”. 

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