Vige l'odio

Superate le consuete incertezze alla partenza da casa, indossato lo zaino, controllata la presenza delle chiavi, non si sa mai, m'incammino verso il non lontano edificio scolastico dove da mesi dovrei aver iniziato il mio lavoro d'insegnante di lettere, e dove invece ho evitato con la massima cura d'entrare. Il mio scopo è chiedere  finalmente scusa al preside ed ai colleghi, che mi avevano invitato con fiducia e che io ho mancato di accontentare. 
Mai entrato in questa scuola, prima d'oggi. Presto incontro due uomini di mezza età, uno molto basso, l'altro molto alto, vestiti entrambi con giacca camicia e cravatta, insomma: assai come si deve. Non so quale dei due sia il preside, ma subito inizio a parlare della mia assenza ingiustificata, direi senza veli, per quanto è possibile farlo scansando l'indelicatezza. I due mi ascoltano con indulgenza e addirittura con cordialità mentre racconto del mio pensionamento anticipato che avrei dovuto curarmi di comunicare alla scuola, posto che dell'amministrazione dell'educazione nazionale non c'è molto da fidarsi, in fatto di efficienza e tempestività. Il basso mi informa tuttavia della circostanza che la scuola invitante, così dice, è privata, e che a loro non interessa se un insegnante è in pensione o no. Avrei potuto informarmi meglio, aggiunge, ma subito precisa: non importa, guardi, se vuole lei può iniziare anche oggi, o domani, se non all'inizio del prossimo anno scolastico. Nel dir così lui e l'alto mi fanno strada fino ad una grande stanza dove si trovano almeno una dozzina di persone, uomini e donne, come credo si tratta dei miei mancati colleghi. Al centro della sala un tavolo imbandito per un rinfresco. Mi aspettavate? - domando mentre seguito dentro di me il mio discorso di giustificazione, apertamente riconoscendo che a me non piace più insegnare, anzi: che mi spaventa. No, non ti aspettavamo, dice l'alto passando al tu da colleghi, è nostra abitudine ritrovarci una volta al mese per una festicciola tra noi. 
Ci sediamo e tutti sembrano assai interessati al mio caso ed alle cose che dico. Sto semplicemente ripetendo la storia del pensionamento, tutto qui. Il clima è cordiale e per la verità non manco di scorgere due o tre colleghe alquanto piacenti. 
Parla che ti parla finisco quasi per confessare il mio rifiuto dell'insegnamento, la mia paura degli allievi, eppure qui sono piccini dai dieci ai tredici anni.
Ma che vuoi che sia, dice una delle colleghe avvenenti, che si trova seduta accanto a me. Anche noi odiamo insegnare. Sì sì, dicono i due uomini che ho incontrato nell'atrio, i due presidi della scuola, se ciò non fosse assurdo. Due presidi! 
Sì sì, anche noi odiamo insegnare, ed anche i ragazzi odiano imparare, qui vige l'odio, ah ah ah!
Nell'udire queste parole che promettono di farmi scivolare di nuovo nella condizione d'insegnante, sento le mie labbra sfiorate dalle labbra della mia vicina.

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