La stampella di Tito

 Il giovane Tito, terzo di tre fratelli e figlio di statali, per indifferenza personale o per mancanza di soldi famigliare vestiva in modo trasandato, nel dettaglio scarpe nere a punta del genere più banale, calzoni di "pilor" marrone, golfino blu aderente, detto a torto o a ragione "micio", camicia e giubbotto, quest'ultimo indefinibile. Sciarpetta quasi romantica. Una domenica all'Abetone Tito, sciatore non provetto, si ruppe una gamba. Dopo numerose settimane, in primavera, ricominciò a frequentare il nostro liceo, nel centro della città. Allo scopo di non essere travolto per le scale al momento dell'uscita di massa da scuola, Tito ottenne il permesso di  anticiparla. Vicino al portone d'ingresso, appoggiato alla parete esterna del nostro enorme ex convento,  usava aspettare che uno dei suoi fratelli, con una 500 Fiat color topo, passasse a prenderlo per poi accompagnarlo a casa. Ai tempi, circa sessanta anni fa, un'auto poteva penetrare attorno all'ora di pranzo in pieno centro! Mi raccontò Tito che un passante vedendolo, povero giovane menomato e malmesso con stampella, gli mise in mano una moneta. Senza poi prendersi in testa la stampella.

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