La signorina Elda

 La signorina Elda abitava al quarto piano di un vecchio edificio prossimo a Orsammichele, in pieno centro. Salendo le scale non mancavo di contemplare un portoncino con su scritto "Morel . Studio", tuttavia, preferendo già allora indovinare, non chiesi mai all'Elda informazioni su quale genere di "studio" fosse. L'Elda insegnava italiano in una scuola statunitense* e, di pomeriggio, dava ripetizioni di latino annidata dietro un grande tavolo di legno nero intarsiato che prendeva luce da una finestra situata a sinistra  - accanto a lei l'allievo che così ne poteva osservare il profilo assai nasuto. Ai tempi l'Elda a me pareva una donna vecchia, ma sarà stata al massimo cinquantenne. Il tavolo era occupato sul lato lungo da una gran fila di volumi di e sul latino, di e sul greco, tenuti ritti da due fermalibri, ma non ricordo di aver visto mai l'Elda estrarne uno. Invece di tanto in tanto si lucidava le unghie con un aggeggio oblungo guarnito di raso rosa, non senza una prolazione involontaria della lingua. Con il suo profilo, come di pietra ne spuntano dalle pareti delle cattedrali gotiche, l'Elda era brutta, direi anche che era dotata di un certo quale sadismo verbale, tuttavia non provavo per lei dell'antipatia. Qualcosina ci avvicinava, forse proprio il cosiddetto sadismo verbale. L'appartamento era vecchio, piccolo, modestamente arredato. Un corridoio portava alla saletta delle lezioni, subito prima della quale c'era una specie di stanzino d'attesa per gli allievi (mai viste ragazze) arrivati in anticipo, che prendeva luce da una piccola finestra con le sbarre, posta in alto. A sinistra, prima dello stanzino, la camera dell'Elda, di cui non so dire nulla se non che conteneva un letto singolo. Dalla porta d'ingresso, a destra, si perveniva subito in cucina - un buco dei primi del ventesimo secolo. Non so perché una o più volte io vi abbia sostato, comunque dovevo esser diventato uno "di casa". Non ricordo altre stanze, neppure il gabinetto. In effetti pisciavo prima di salire dall'Elda, a un vespasiano pubblico. Spesso in casa c'era un' altra sgheba il cui ruolo non so precisare. Mi verrebbe voglia di proporre che, anche lei sui cinquanta, fosse una sorta di "dama di compagnia" dell'Elda, se non una cameriera a ore. Ma non aveva né l'aria né l'abbigliamento della cameriera. Era melensa e penso che l'Elda avrebbe potuto verbalmente mangiarsela in due bocconi. Sono stato allievo dell'Elda tra il 1964 e il 1967, anno in cui finalmente mi liberai del liceo. Direi solo di latino, lingua morta eppure vigorosissima in fatto di spine, specie quando noi disgraziati eravamo costretti a tradurre dall'italiano. Ve le raccomando la grammatica e la sintassi latine! Comunque sia, sono stato a ripetizione dall'Elda una quantità di volte in quei tre anni. Un giorno mi disse sogghignante che ero uno "psicopatico", ma io ignoravo il significato di quella stupida parola: incartai mentalmente ed ecco qui che ora, a distanza di sessanta anni, la scodello. Anche i miei pensavano che non fossi del tutto a posto; comunque, psichiatria a parte, stentavo a scuola e tanto bastò perché, d'accordo con l'Elda, escogitassero un modo per costringermi a studiare. Ogni pomeriggio dalle tre alle sette dovevo stare "consegnato" nello stanzino d'attesa dell'Elda con i miei libri e quaderni di ogni materia liceale, sotto la finestrina a sbarre, a un tavolinetto. Vedevo scorrere i vari allievi, ora dopo ora. Sia chiaro: ciò oltre le ripetizioni di latino. La punizione durò alcuni mesi tra il 1964 e il 1965. Anni dopo, durante l'intervallo di un concerto al teatro della Pergola, incontrai l'Elda e ci salutammo non senza una certa quale ironica cordialità reciproca.

* Ebrea, so che non aveva perso il posto di insegnante statale a causa delle leggi razziali del 1938: ancora troppo giovane. Più probabile è che tali leggi e poi tutto il resto l'avessero avviata all'insegnamento privato.

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