Giotto mancato

Nel Febbraio del 1964 accettai di partecipare a un viaggetto in Veneto organizzato dal mio liceo, nonostante che la mattina della partenza in pullman fosse la stessa di un serio intervento chirurgico a carico di mia madre. Voglio dire che non disdissi la mia partecipazione. E' probabile che ciò mi facesse sentire in difetto. Arrivammo a Padova e appena sceso dal pullman cercai un bar per telefonare a Firenze. Mi si rassicurò. Uscito dal bar  non vidi né il pullman né le decine di compagne e compagni, spariti in direzione della Cappella degli Scrovegni. Invece di domandare a qualcuno dove si trovasse la Cappella chiesi dove dirigermi per arrivare nella piazza del Santo. Era la sede dell'ostello, grande, austero e - insieme a tutto il resto della gita - così poco costoso che uno o due giorni prima, a Firenze, qualcuno aveva predetto che ci avrebbero messo a dormire su uno stronzo. In perfetta solitudine mi diressi verso la Piazza del Santo. Fu una passeggiata piacevole, almeno questo è quanto mi ricordo. Più tardi arrivarono compagne, compagni e professori, pranzammo e nel pomeriggio facemmo il percorso da me gustato poche ora prima, ma in senso inverso. Portici. Padova mi piaceva. Salimmo in pullman e andammo a Bassano, dov'è il famoso ponte. In una bottega annessa al ponte io e altri comprammo senza alcun ostacolo una bottiglia di grappa Nardini, da allora la mia preferita. In serata tappa volante a Vicenza. Mi piacque quel che vidi. Naturalmente la notte nell'Albergo cosiddetto del Pellegrino si fece baccano, si bevve, si giocò a poker, si vagò tra le camere e si piantarono quegli amoretti che sarebbero fioriti in primavera. La mattina seguente passammo in rivista le meraviglie palladiane in forma di villa. Nonostante la nottata movimentata non mancai di gustarne la vista. E, finalmente, Venezia! Con la compagnia della Nardini in tre o quattro fingemmo in piazza San Marco di essere degli ubriaconi. Nel pomeriggio, radunate le pecorelle, formate le nuovissime coppie nel pullman, facemmo ritorno a Firenze con tappa tecnica a Bologna. Era domenica. La mattina dopo visitai in clinica mia madre che - è vero - mi aveva fatto perdere Giotto, ma era stata messa in condizione di vivere per altri quaranta anni. Quanto a Giotto, penso, è possibile che io non abbia fatto nulla per riaggregarmi alle compagne e ai compagni, uscito dal bar, perché disgustato dalla loro sparizione. Valuto però che ai tempi non c'era teleselezione e telefonare da una città a un'altra era cosa lunga. E' soltanto suggestivo ipotizzare invece che io abbia offerto Giotto per ingraziarmi la sorte in rapporto alla sopravvivenza di mia madre.

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