La bicicletta come strumento di fuga

Mio figlio, scrive un genitore, si sottrasse a me e a sua madre durante l'adolescenza. Ricordo che la sua intrattabile avversione a ogni regola cominciò a sbocciare al tempo della scuola media e in curiosa concomitanza con l'uso della bicicletta che io gli avevo regalato come premio per aver lui terminato con successo la scuola elementare. Pedalare nel traffico era un'attività che stimolò fin dall'inizio l'attitudine di mio figlio a divincolarsi da me, dai gendarmi, se non solo per divertimento. Tuttavia mio figlio non sembrava divertirsi mai, né mai rideva o sorrideva, almeno non all'indirizzo mio o di sua madre, la quale pure non era severa come me, che fino all'ultimo gli volli insegnare le regole della convivenza civile. A non rubare, sopratutto. Mio figlio già da bambino a tratti mostrava di avere riserve di incoercibilità infinite e di riuscire a mala pena a convivere con sua madre e con me. Ma quando, come io penso, si sentì abbastanza forte da agire, abbandonò noi, e la scuola. Voglio dire: sparì, né da allora lo abbiamo più visto o abbiamo avuto suoi segni. Potrebbe essere morto, si dirà, potrebbe essere stato rapito. Da chi? Unica cosa che noi ipotizziamo, né le autorità hanno saputo darci alcuna indicazione, è che lui si sia affiliato a un'organizzazione criminale. 'C'è chi mi apprezza per quel che sono, un ladro', furono le prime parole di nostro figlio dopo mesi di mutismo. E le ultime.

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