Sabba cattolico e sindacale

 Da giovane intrapresi la carriera del giornalismo perché durante la compilazione della mia tesi di laurea in filosofia il professore competente mi aveva sconsigliato di "fare il filosofo". Dopo la prima fase di formazione basilare, tremenda, finalmente venni incaricato dal capo redattore del mio giornale, "Il clarino", di seguire un congresso di sindacalisti cattolici (SCI) nel Veneto. Precisamente a Padova, città fascinosa e bellissima. Mi "accreditai" presso la sede congressuale e trascorsi la giornata - era un sabato - ad ascoltare i sindacalisti cattolici. Buttavo giù qualche appunto, sbadigliavo, sonnecchiavo - non perché gli interventi fossero particolarmente noiosi, ma perché ero arrivato in auto da Firenze la mattina stessa - partito all'alba. Al termine della prima giornata seppi che dopo cena i sindacalisti SCI avrebbero fatto festa in un locale prossimo, mi venne detto, all'Albergo del Pellegrino. Indossai abiti migliori e andai alla festa dopo aver mangiato qualcosa e aver preso un caffè. Avrei unito ai miei appunti politico-sindacali qualche nota "di colore", speravo. In effetti la festa degli SCI fu divertente. Diverse donne a un tratto si tolsero le scarpe e le calze - logicamente al riparo da occhi indiscreti - e iniziarono una sorta di "marcia" nel salone - "torno torno", avrebbe detto mia nonna. Chiesi a un altro giornalista lumi su quanto stava succedendo, ma anche lui era digiuno in materia SCI, per cui tacemmo e seguimmo il "sabba" cattolico e sindacale, difatti tale presto mi si manifestò la suddetta marcia. Le ragazze scaldavano il freddo pavimento del locale - bassa l'illuminazione - con i loro balzi a piedi nudi e alzavano ritmicamente le braccia cantando l'inno dello SCI, allegre e ridanciane, intanto che i loro colleghi maschi battevano le mani. Il "sabba" non incluse il denudamento dei piedi di tutti i presenti, nonostante l'invito delle ragazze, sempre più allegre, infatti molti tra i maschi si rifiutarono di accontentarle. Per fortuna. A cose fatte, gran confusione. Tentai di intervistare qualcuna delle "streghe" - facile denominazione ironico-invidiosa che la mia testa aveva partorito durante il "sabba" - ricavandone qualche soddisfazione. La notte dormii poco. All'alba di domenica saltai in macchina e tornai a Firenze. Il lunedì il mio capo redattore mi disse di riscrivere il mio articolo e soprattutto di alleggerire la parte dedicata al dibattito. 

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