Profanazione

Dopo una camminata sulle colline antistanti la montagna ci trovammo di sorpresa di fronte a una cavità piuttosto ampia. Eravamo un gruppo senza pretese, anzi, tra noi diversi avevano dichiarato alla vigilia che non avrebbero gradito mettere i piedi sulle rocce della montagna. Ci fermammo. Alcuni decisero di entrare nella cavità. I più restarono all'esterno a riposarsi. Tra gl'intrepidi o forse soltanto curiosi c'ero anch'io. Percorremmo diverse decine di metri in una vera e propria galleria e presto scoprimmo che il suo spazio era colmo di oggetti vari: grandi conchiglie, ma anche valige, e arredi domestici. “Oggettistica montana!” - esclamò qualcuno. Un po' per farci spazio, un po' per avidità, iniziammo, con l'aiuto dei pigri rimasti fuori, ora divenuti curiosi, a raccogliere quegli oggetti e a portarli all'esterno della galleria. Alla luce piena. Un andirivieni che ebbe come risultato la trasformazione dell'area antistante la cavità in una mostruosa “esposizione dell'usato”. Tra le cose ce n'era qualcuna che suscitò il nostro interesse. In breve capimmo che avremmo dovuto escogitare un modo per spartire quel bottino sorprendente. Nessuno dubitò che fosse “proprietà privata”. Apparecchi radio d'altri tempi, dischi a 78 giri, tavolini, borse, valige, o se preferite “valigie”, lumi e paralumi, giocattoli, orsacchiotti, scatole di guanti, scarpe, scarponi, scatole piene di pipe, soprammobili, argenteria, cristalleria, sciarpe, cappotti, sci, cappelli, bauli pieni di “coltroni”, bauli vuoti, libri, quaderni, caffettiere “napoletane”, pacchi di fotografie, senza contare le conchiglie, enormi, e i cristalli di gesso, questi ultimi oggetto privilegiato della nostra cupidigia domenicale. Una bicicletta con le gomme “imporrite”, un divanetto, sedie, vasi. Mancavano apparecchi tv, segno che il deposito doveva appartenere ad una o più famiglie vissute fino agli anni cinquanta del secolo scorso. Un paravento diciamo giapponese. Due ghiacciaie! A ruba!

In un paio di ore di fatica eravamo riusciti a vuotare la galleria e a riempire alcune decine di metri quadrati dello spazio antistante, per cui fu quasi per necessità che c'incamminammo all'interno, stavolta tutti senza eccezione.

Dopo un percorso di un centinaio di metri relativamente facile alla luce delle nostre torce ci trovammo in un ambiente molto vasto in larghezza e in altezza, tanto che non pochi di noi dissero che la montagna, dai più esclusa dal progetto di escursione, doveva essere in parte cava. Eravamo comunque in una enorme caverna le cui pareti, restringentisi in alto a forma irregolarmente conica, erano la parte interna di una “crosta” avente all'esterno l'aspetto di una montagna. Alle prese con questa “spiegazione”, solo dopo qualche minuto, vagando le nostre torce sulle pareti del “cono”, notammo che in alto la conicità era interrotta da due estese rientranze che facevano da base a due edifici che ai “cosmopoliti” presenti ricordarono i templi montani del Tibet. Tutti comunque puntammo le nostre torce ora su uno, ora sull'altro edificio. Erano in realtà due “villini, pianterreno e primo piano”, disse qualcuno suscitando qualche sommessa ilarità negli altri. Ci sentimmo comunque stupefatti e anzi intimoriti perché i due edifici, dotati di finestre o meglio di aperture che dal basso parevano cieche, nere, quasi ci guardavano da lassù con aria minacciosa. Non sapevo se anche ci riguardassero. Subito dopo pensai però che noi non riguardavamo i due edifici, questo il mio timore, che espressi, com'è naturale senza fare giochi di parole. Era impossibile salire fino ai due edifici se non per mezzo di una ascensione specialistica, infatti, ripeto, le pareti erano come quelle di un cono di cui non si scorgeva il culmine.

Tornammo indietro, la minacciosità dello “sguardo” dei due edifici ci sembrava sconsigliare una permanenza ai loro piedi. Parlando tra noi per lo più a bassa voce percorremmo la galleria verso l'uscita e presto fummo di nuovo in mezzo alle cose che avevamo tolto dalle tenebre. Ci caricammo, senza troppe discussioni su che cosa toccasse a chi, di una parte degli oggetti della nostra profanazione, pensai senza dirlo, e iniziammo il percorso di ritorno. Altri gitanti avrebbero certo prelevato pian piano il resto, pensai. Qualcuno, alla fine, sarebbe riuscito a raggiungere i due edifici?

Commenti