Lo sposalizio in Casentino

Il nostro aveva avuto a che fare, nella primavera del  1959, con la "prima comunione", per cui non mancava di un certo addestramento cattolico. 
Ora, la Rita, una cara donna di servizio che era stata in casa della famiglia del nostro per dieci anni, si era fidanzata  con un florido ortolano incontrato a Follonica, dove il nostro, insieme al fratello minore e i suoi genitori, passava un mese e mezzo ogni estate. La Rita con loro. 
La Rita logicamente aveva voluto sposarsi al suo paese, in Casentino, e aveva invitato i suoi padroni. 
Era autunno. Partiti la mattina presto a bordo della Giulietta, il nostro, sua madre, il padre (alla guida), il fratellino e la nonna, arrivarono nel luogo delle nozze, e iniziò la cerimonia.
Eseguito lo sposalizio si passò al pranzo, di austera abbondanza contadina, e, non appena possibile, il padre del nostro fece capire alla compagnia che sarebbe stato bene riprendere la via di Firenze. Ai tempi lunga.
Ci si salutò all'aperto, attorno c'erano umili costruzioni in pietra, toccate dalla luce del tramonto, eppure più grige del dovuto, davanti al nostro, stanco ed eccitato, una corta scala esterna che dava su una porticina, com'è naturale, da cui apparve a un tratto, per salutare i signori venuti dalla città, la mamma della Rita.
Il nostro, ai piedi della scaletta in pietra, senza volere si inginocchiò e si fece il segno della croce davanti a quell'apparizione. Un gesto che nessuno capì, neppure lui che lo aveva fatto.
Era un omaggio, l'unico che lui avesse a disposizione, a quella donna, che avrà avuto sì e  no quarantacinque anni e sembrava una vecchia, che aveva patito per dieci anni la mancanza della sua Rita e che ora se la vedeva portar via un'altra volta, lontano lontano. Era un "sacramento".

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