Infarto

Lite furibonda con il collega ed amico L. Danneggiata una simpatia lunga anni, scambi di accuse. Siamo convocati dal capo del dipartimento, veniamo interrogati, sono messi a confronto i nostri torti e le nostre ragioni. Il capo ascolta e passa a dire la sua; s'infila in un discorso sui vecchi tempi, parla di politica, di tattica e di strategia, di leninismo, d'individualismo, rendendo stupefatti sia il collega L. che me. La nostra lite ha preso foga soltanto dal momento in cui io ho ironizzato sulla somiglianza di L. con un attore comico che alcuni decenni or sono rallegrò il nostro popolo con decine di film. Il guaio è nato dalla confusione del collega, che ha preso la mia ironia sulla sua somiglianza fisica con il famoso comico per un'ironia sulla sua ridicolaggine in genere. Da lì sono partite le offese reciproche. Siamo arrivati a spintonarci. Il fatto grave è che il collega è malato, debole, ed una mia spinta lo ha fatto cadere. Il capo del dipartimento, gran fumatore, nella foga della sua perorazione assurda, ha rovesciato un portacenere di coccio sulle mie gambe, cioè sui miei calzoni nuovi, in effetti. 
Comunque sia, il capo ci ha ammonito ed invitato a fare la pace, bollandoci entrambi come individualisti incorreggibili. Non abbiamo fatto la pace, siamo usciti dall'edificio in cui si trova il nostro dipartimento, io e L., ci siamo fronteggiati mutamente ed infine allontanati in direzioni opposte. Camminando ho controllato le mie tasche, infatti non trovavo più il mio portasigarette in bachelite, né le chiavi di casa. Né l'accendino. Infilata una mano nella borsa, finalmente ho trovato tutti gli oggetti mancanti. A quel punto mi sono voltato, ed ho visto L. che ansimava lontano tenendosi stretto ad un lampione. 
"Gigi!" - ho gridato, "cos'hai?"
"Muoio", ha risposto.
Ho fatto una corsa fino a lui, l'ho sorretto, l'ho accompagnato fino a una panchina, ci siamo seduti e siamo rimasti in silenzio. Poi ci siamo salutati.
E' stata l'ultima volta.

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