La frana.

L'edificio di cui abbiamo messo in ordine una parte allo scopo di abitarci, ciò che facciamo da diversi anni, sorge al margine quasi estremo e più alto di un rigonfiamento del terreno, se fossimo sul mare diremmo che è un promontorio, davanti al quale, in basso, si allarga la pianura. Sfortunatamente da alcune settimane il detto rigonfiamento, o promontorio, è interessato, e noi con lui, da un processo franoso: intere enormi masse di terra mista a sassi e rocce, se non rupi, stanno pian piano rovinando giù. E' come se   una gigantesca mano dotata di un'altrettanto gigantesca spatola defalcasse in modo progressivo il cosiddetto promontorio, fetta dopo fetta, avvicinandosi com'è ovvio alle fondazioni dell'edificio sede della nostra abitazione. Temiamo fortemente che il frutto delle nostre fatiche, delle nostre angosce, dei debiti da noi contratti con il Ponte dei Maschi, questo il nome della banca locale, vadano in fumo, in altri e più consoni termini: in polvere, in terriccio, e così via rovinando. Da un lato siamo tentati di resistere nella nostra abitazione dell'edificio minacciato, di sperare che la frana si arresti o sia arrestata grazie a qualche rimedio adottato dalle Autorità, dall'altra non ci nascondiamo di aver paura di trovarci strappati giù dalla frana definitiva, e meditiamo di lasciare l'edificio. Com'è naturale, noi dovremo in ogni caso ripagare l'intera somma che il Ponte dei Maschi a suo tempo ci ha prestato: questa è l'unica nostra certezza.

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