Abnegazione.

Da una finestra del nostro Eremo noi due monaci, gli ultimi lasciati dal nostro Ordine in questa terra inospitale, osserviamo lo svolgimento di uno scontro armato tra due fazioni che si odiano da molti decenni. Da una parte arabi del posto, dall'altra gli usurpatori. Questi ultimi, che usano narrare ai loro figli di aver trasformato un deserto in giardino, anche stavolta prevalgono.
Uno dei combattenti in rotta ci chiede ospitalità. E' agitato, trema e sembra pregare: noi non conosciamo che poche parole della sua lingua, ma crediamo che lui stia pregando. Ad un tratto costui ci vomita addosso.
Mi occupo quindi di sfilare il saio sporco - di vomito ma anche di una sorta di muco gelatinoso - dal corpo offeso del mio confratello, che è rimasto completamente immobile; poi tolgo da solo questa porcheria dal mio saio.
Per la verità il getto di vomito e muco emesso dalla bocca del combattente in rotta ha colpito più il mio confratello che non me. Non ne sono contento, infatti il nostro Ordine da sempre proibisce la contentezza, al posto della quale impone l'abnegazione.
Quando da ultimo alzo gli occhi in direzione dell'arabo, mi accorgo che è sparito.

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