Conversione a tavola.

Mi domanda se sono ebreo, si tratta di un gioco; no, non sono ebreo, ma lui va avanti e mi domanda se frequento una certa scuola di dottrina teologica ebraica; no, non la frequento, non sono ebreo, insisto; male, fa l'interrogante, non sai che cosa ti perdi; ma se non sono ebreo? - replico ancora io.
Siamo a tavola, l'interrogante è un ospite, anch'io lo sono.
E' un gioco, ribadisce lui, non devi rispondere la verità, ma quel che ti piace; ah, sì, hai ragione, mi era sembrato un gioco della verità. No è un gioco e basta, assicura. E riprende: sei ebreo? No, non lo sono; e frequenti la scuola di dottrina teologica? No, mica sarei ammesso, non sono ebreo. Qui sbagli, mi becca l'interrogante, saresti ammesso se ti volessi convertire. A cosa? - domando. Alla religione ebraica, risponde lui. Ma io sono ateo, replico, e mi verso un poco di acqua minerale non gassata. Molti ebrei sono atei, insiste, eppure s'interessano di teologia, e riprende: sei ebreo? No, rispondo.
E perché no? - domanda lui.

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