Verso sera.

Tutto capita verso sera, tra il lusco e il brusco, dice mia nonna. L'albero, nero a causa del calo di luce, è strappato dal suo radicamento nel terreno del giardino, tira infatti un vento fortissimo.  Non cade, invece ruota sui suoi rami lunghi, evidentemente robusti, e resta impigliato a testa in giù, esclama il mio fratellino, agli altri alberi. Una nuova configurazione.
Siamo, noi tre, io mia nonna e il mio fratello minore, in una città che non conosciamo. Fuori dal giardino, in strada, troviamo un piccolo negozio di bibite, appena una stanzetta. Mio fratello entra e, stupendomi con la sua disinvoltura, chiede al gestore informazioni su questa strana tempesta di vento. "Ho mandato un'ora fa il mio garzone proprio dove c'è stata la tempesta", risponde il gestore, "e ancora non è tornato".
Continuiamo a camminare e arriviamo in una grande piazza quasi quadrata, deserta, in fondo, da una parte, sostano due vecchi pullman. Mia nonna commenta quello che abbiamo visto e sentito con parole che mi rassicurano per la loro autorevolezza, e anche lei mi stupisce per com'è tranquilla. In effetti la tempesta di vento è finita. I pullman ci aspettano.
Tengo per me la paura; certo, la posizione dell'albero sradicato rappresentava un pericolo, per noi, ma specialmente mi ha colpito un fatto o un'impressione: i rami insieme al tronco, nell'intrico di foglie, rivelavano, nera, la forma di una svastica.

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