La repubblicana.

Disastroso lo stato della mia mansarda, trasformata in deposito di materiali e attrezzi che, come scopro, servono alla riparazione del tetto. E' un'infamia del mio padrone di casa che così spera di farmi andar via, con le cattive. Tutti i mobili sono spostati, la polvere regna sui libri. Qui non posso certo dormire, stanotte. Esco e cerco una locanda. Sono appena rientrato in città, la mia valigia è pesante, mi avvio verso la stazione, in giro non vedo nessuno. A metà strada mi viene in mente che il deposito bagagli a quest'ora sarà chiuso. In effetti sembra che l'intera città sia deserta. Incollato su un muro vedo un manifesto che annuncia il passaggio del Sovrano a bordo del suo yacht sul fiume, e capisco che tutti sono andati ad assistere all'evento. Ogni attività, ogni esercizio, ogni buco, tutto è chiuso.
"Mia zia, c'è mia zia", mi dico, "lei non è mica monarchica, sarà rimasta a casa", e mi affretto verso la piazza dove si trova il villino della zia. Mi affretto per modo di dire, infatti la valigia mi frena, non ne posso più, la nasconderei da qualche parte, ma si sa che i ladri, in queste occasioni di massa, stanno ben attenti ad ogni dettaglio per avvantaggiarsene. Arrivato davanti al villino vedo che le luci sono spente, "sarà andata a dormire, la vecchia repubblicana", mi consolo, e vedo che una finestra al primo piano è aperta. Tiro la corda del campanello. Niente. "Sta' a vedere che anche la zia...". Supero il muro di cinta del giardino dopo aver spinto la valigia, sforzo terribile, fino alla sua cima, ed averla fatta ricadere dall'altra parte. "Riposi in pace", dico. Quindi mi arrampico lungo il tubo di scarico della grondaia fino alla finestra aperta, entro e si conferma che la zia non è in casa. "Questo non significa certo che sia andata a vedere il Sovrano", obbietto a me stesso. Sono un loico.
Mi accomodo nella stanza degli ospiti, dopo aver mangiato un avanzo di zuppa preparato dalla zia non so quanti giorni fa, e provo a dormire.
"Domattina andrò dal padrone di casa e gliene dirò quattro", sospiro. "Ma perché poi quattro?", mi domando, ma non riesco a rispondere a questa domanda. Mi addormento.

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